una copia da Primaticcio

Sembra incredibile, ma forse non ho mai scritto di Primaticcio in questo sito, nonostante sia uno degli artisti del mio pantheon personale.
Ho anche pubblicato qualcosa al riguardo, modestamente.
Quindi non posso passare sotto silenzio questo disegnino che passa presso la casa d’aste (mai sentita prima d’ora) Gildings (qui):

Roman School, 17th-18th century
The Embarkation
pen and ink, 26×38 cm

Tutto molto sintetico, direi che non ci hanno capito granché.
Tutto parla di Primaticcio: l’inquadratura, le acconciature, la divisione tra primo piano e sfondo, le figure in abisso.
E quindi il nostro disegno sarà una copia da una delle Storie di Ulisse che ornavano la mitica Galleria di Ulisse a Fontainebleau.

Oggi è tutto distrutto, ahimè.
Rimangono però le incisioni di Theodoor van Thulden, tra cui anche la scena con Ulisse prende commiato da Alcinoo, prima di tornare a Itaca a massacrare un po’ di Proci.
Eccola:

Le incisioni di Thulden sono del 1633 circa.
Potrebbe il nostro disegno, che è girato dall’altra parte, essere una copia precedente?
Io non escluderei, perché ci sono tante piccole varianti (una piccola città turrita sullo sfondo, ciuffi di vegetazione vicino al piede di Ulisse, l’anatomia più appuntita dei piedi di Ulisse e Alcinoo) che mi paiono più cinquecentesche, e che un artista dall’animo già rubensiano come Thulden potrebbe ben aver trascurato.

Adesso basta, perché poi il disegno non è un capolavoro, tutt’altro.
Però è interessante, una volta riportato all’interno della sua storia.

Non c’è neanche bisogno di svenarsi, costa 60 sterline…

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Girolamo Massei vs Cornelis Cort – part 2

Guarda chi si rivede.
Da Van Ham ripassa questo San Francesco assegnato a Girolamo Massei (qui):

MASSEI, GIROLAMO
Lucca ca. 1540-45 – ca. 1620
Saint Francis
ca. 1590-1600.
Oil on copper, 69 x 53.5cm

L’anno scorso, in un post apposito, avevo segnalato che la figura veniva da una incisione di Cort da Muziano.
Ripropongo il confronto perché mi pare tuttora efficace.

Tutto quello che ho ottenuto è una riga alla fine, dove si parla di “Inspirationsquelle: ein Druck von Cornelis Cort aus dem Jahr 1575 nach Girolamo Muziano” (“fonte di ispirazione: una stampa di Cornelis Cort del 1575 da Girolamo Muziano”).
Meglio di niente.

Citare il mio nome, neanche a parlarne.
Una volta con Van Ham ci parlavo e ci collaboravo.
Adesso: damnatio memoriae totale.

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bye bye, Ercole Procaccini

Con profondo dolore, annuncio che qualcun altro ha comprato questo bellissimo Ercole Procaccini che passava qualche giorno fa da Dorotheum (qui):

Workshop of Lorenzo Sabatini
(Bologna circa 1530–1576 Rome)
The Mystic Marriage of Saint Catherine
oil on canvas, 127 x 101 cm, framed

Tanto aspra è la sofferenza che non trovo neppure la forza di commentare la fuorviante attribuzione alla bottega di Sabatini, del tutto estraneo.
Naturalmente quando segnalo un quadro di Prcaccini (ad esempio qui, o qui eccetera) tutti giù a dire “Danieli coglione”, “che crosta orribile”, “questo spaccia copie per originali” (tutte cose vere, carezze dei miei amici)…
Poi quando cerco di prenderne uno fa un botto di soldi.

Vabbeh, lasciamo stare.
Tanto ormai è andato.

Sarà per la prossima.

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Pittura senza Inventio. Fortuna di Maerten De Vos e Hieronymus Wierix tra Emilia e Toscana

Mi accorgo che mi ero dimenticato di segnalare questo mio fondamentale articolo apparso qualche tempo fa su “Rivista d’Arte“.
Ma se io ho aspettato 7 anni (lo consegnai nel 2015), anche i lettori possono avere un po’ di pazienza…

Parla di una meravigliosa incisione di Hieronymus Wierix su invenzione di Maerten De Vos, che rappresenta l’arcangelo Michele.
Ma il vero argomento non è tanto l’incisione (già arcinota), quanto una serie di derivazioni sparse tra Emilia e Toscana.
E la domanda è: cosa spinge un pittore a mettere da parte il suo compito di inventore?

Che da un modello celebre possano discendere centinaia, o migliaia di derivazioni è una cosa del tutto normale. Qui non parliamo d’altro.
Ma il fatto che una serie di opere pubbliche, di pale d’altare, ripeta senza variazioni lo stesso modello, pone una questione niente affatto banale.

Per la gioia di tutti, lo ho messo anche su Academia.

Ecco il riferimento bibliografico completo:

Michele Danieli, Pittura senza inventio. Fortuna di Maerten De Vos e Hieronymus Wierix tra Emilia e Toscana, in “Rivista d’Arte”, V serie, LVI, 11, 2021 [2022], pp. 67-84.

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Agostino Scilla

Dopo il mio post di ieri, forse un po’ severo, oggi vorrei fare una segnalazione positiva, e usare la penna verde invece di quella rossa.
E parlare un po’ di questo quadro (qui), che mi sembra bellissimo:

17th century painter
Saint Jerome
Oil on canvas 77×103 cm

“Pittore del Seicento” è senz’altro giusto (come non potrebbe?), ma riduttivo per un quadro di questa qualità.
La breve scheda lo colloca tra Napoli e Roma, tirando in ballo i nomi di Hendrick Van Somer e Giacinto Brandi.
Devo dire che preferisco la seconda opzione, che ci catapulta in quel mondo di baroccone romano che tanto mi affascina, ma al quale non oso avvicinarmi.
Un po’ perché negli ambienti romani (di ieri e di oggi) non sono molto a mio agio, un po’ perché è un campo presidiato da studiosi molto molto agguerriti.

Quindi, al sicuro dietro la tastiera, vorrei evidenziare la bellezza di questo testone di Girolamo.
Chiaroscurato profondamente, ma senza quel gusto per la carne flaccida e la pelle cadente che si solito connota i napoletani (mi scuso per la semplificazione).
La sua compostezza me lo fa pensare davvero romano. Insieme al fluire delle ciocche di capelli grigi, che lo avvicina effettivamente a Brandi.

Dovessi fare un nome, farei quello di Agostino Scilla.
E non solo perché la sua vicenda biografica unisce Italia meridionale e Roma, ma perché il quadro Arcadia mi sembra proprio simile ai suoi filosofi.
Per rimanere tra la cerchia strettisima dei lettori del blog, vorrei citare almeno i quattro quadri torinesi pubblicati da Arabella Cifani nel 2012.

Non è regalato, vogliono 9mila euri.
E poi qualcosa anche per pulirlo.
Ma secondo me li vale tutti, hai voglia…

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accumulare errori su Parmigianino

Ancora un quadretto da nulla, senza interesse e senza valore commerciale.
Così, per perder tempo.
Passa a Roma questa teletta (qui):

Genoese school of the 17th century
Madonna with Child and Saint John
Oil on canvas 20×21 cm – with frame 37×38 cm

Ma che strano. Non ha niente di genovese, da dove salta fuori questa idea bislacca?
Allora vado a leggere sotto:

Our painting […] is a seventeenth-century replica of a work now kept in Palazzo Pitti in Florence, attributed to Gaudenzio Ferrari. The author of the version proposed here is to be considered of the Genoese school for the delicacy of the complexions and the smooth tones.

Cosa?!
No, impossibile.
Allora mi incaponisco e scopro che (incredibilmente) c’è davvero un quadro a Pitti con questa composizione attribuito a Gaudenzio. Eccolo qua (sul sito del Ministero, nientemeno):

Rimango stupefatto.
Cosa c’entra questa roba con Gaudenzio Ferrari?
Mi sale l’angoscia.
Angoscia di vivere in un mondo dove nessuno conosce questa incisione di Aegidius Sadeler:

Angoscia di pensare che non si conosca nemmeno la xilografia magnifica di Antonio da Trento:

Niente Gaudenzio Ferrari a Pitti.
Niente scuola genovese a Roma.
Parmigianino.

E angoscia di sentirmi decisamente, inesorabilmente inadeguato.

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Giovan Vincenzo Imperiale, Lo stato rustico

Quante sono le cose che non so?
Una quantità enorme, infinita…
Ad esempio, non sapevo che il genovese Giovan Vincenzo Imperiale (1582-1648) avesse scritto nel 1607 un poema intitolato Lo stato rustico.
Nella biografia della Treccani che ho linkato (2004), si lamentava che del poema mancasse una edizione moderna; problema risolto con l’edizione del 2017.

Cosa più grave, non sapevo neanche che l’Imperiale fosse grande amico di Giovanni Battista Paggi, il quale eseguì il frontespizio dello Stato rustico, inciso da Philippe Thomassin, eccolo qua:

Poi, dato il grande successo, il poema fu presto ristampato.
Nel 1611 esce la seconda edizione, con un nuovo frontespizio, dove sparisce il nome di Paggi sostituito da quello dell’Imperiale:

Ed ecco che a Montecarlo salta fuori la matrice del frontespizio, sul retro di un quadro di nessun interesse (è una copia da Hans von Aachen), (qui):

ECOLE ITALIENNE DU XVIIIÈME SIÈCLE
Christ et les deux anges
Cuivre 15,5 x 22 cm
Au revers une plaque de gravure

1.500 € per il quadro, neanche per idea.
Ma per la “plaque de gravure”, alla grande.

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Bologna – Siena, 180 km

Qualche problema di iconografia al Ponte.
Forse perché, per i milanesi, al di sotto del Po si estende un’unica grande regione i cui abitanti hanno un nome che non posso pronunciare, pena la chiusura del sito.
Una tribù alla quale io stesso appartengo.

Ma veniamo al disegno (qui):

Artista della fine del secolo XVIII
La città di Bologna presentata a Cristo e alla Vergine tra Santi in gloria
penna e inchiostro bruno acquerellato in bruno (mm 320×395)

Non sono d’accordo su niente.
Non mi pare della fine del Settecento, ma almeno un secolo più antico.
E soprattutto, non è Bologna.
Guardiamolo meglio, con l’aiuto di Photoshop:

1. Cristo, con lo scettro e il globo; alla sua destra la Madonna, che apre il mantello a proteggere la città. E fin qui pressappoco ci siamo.
2. Santa che pare vestita da domenicana, in posizione prominente e con il giglio: per me Caterina da Siena.
3. Santo vecchio, con saio e libro; sul libro si scorge traccia del monogramma IHS tra raggi di sole. Bernardino da Siena, senza alcun dubbio.
4. Santo che regge un libro sul quale sono tre monti sormontati da una croce. Beato Bernardo Tolomei, senza possibilità di errore.
5. visto che sono tutti santi senesi, a questo punto direi che potrebbe essere Savino, vescovo di Siena.
6. Ormai abbiamo capito dove siamo, e possiamo identificare il protagonista. Si tratta del beato Ambrogio Sansedoni che presenta a Cristo la città di Siena.

De resto, è questa l’iconografia tipica del Sansedoni.
Eccola nel quadro famoso di Francesco Vanni nella collezione Chigi Saracini:

E la città, ovviamente, è Siena.
Che contende a Bologna la fama di città turrita.

Più che puntare il dito contro le competenze del Ponte (che pure è sempre divertente), mi interessa presentare il disegno.
Ho cercato e cercato, ma senza trovare la sua destinazione.
E’ preparatorio per un affresco? Per un frontespizio? Per un’incisione?
L’affresco mi pare l’ipotesi più plausibile.
Ma che fine ha fatto?

C’è qualche senese in sala?

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Palazzo Savioli

Dite la verità: non vi eravate accorti che già da qualche tempo è uscito il libro su palazzo Savioli, nevvero?
E’ l’ultima uscita (la sesta!) della collana da me curata sui palazzi bolognesi.

E’ un palazzo un po’ strano, molto rimaneggiato, e che conserva un appartamento ornato di affreschi finora inediti.
Tutto l’appartamento è stato recentmente restaurato, e oggi ospita eventi e manifestazioni.
In origine era la casa di Ludovico Vittorio Savioli, poeta e politico vissuto tra il Sette e l’Ottocento.
E poi vi si intrecciano tantissime storie, e ci passano tantissimi artisti.
La storia delle decorazioni la ha scritta Elisabetta Landi, che ha trovato tutti i documenti e ha ricostruito tutte le vicende degli affreschi.


Io ho parlato degli affreschi del Nosadella, ora scomparsi, e delle ricchissime collezioni raccolte all’interno del palazzo (esse pure disperse, a parte i 4 dipinti che ho ritrovato).
Il tutto accompagnato dalle bellissime immagini di Alessandro Ruggeri.

Insomma, un volume splendido, come al solito.
Lo potete comprare sul sito dell’editore, così è contento e ce ne lascia fare altri.

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Stefano Danedi detto il Montalto

Non riesco proprio a capire il ragionamento che sta dietro questa quadro che passa a Parigi tra un paio di settimane (qui):

École VENITIENNE du début du XVIIIe siècle, entourage de PALMA GIOVANE
Amours volants

Paire de toiles. 87 x 129 cm

Lasciamo perdere il fatto che li dicano settecenteschi.
Immagino che “XVIIIe” sia un errore di digitazione per “XVIIe”.

Ma cosa c’entri il povero Palma, proprio non lo capisco.
Non è mica un pittore raro, Palma.
Fa centinaia e centinaia di quadri, sempre con il suo stile inconfondibile, che non varia neanche tanto con il passare del tempo.
E qui non si ritrova un’unghia della sua maniera così caratteristica.

Questa atmosfera fumosa e claustrofobica, questi colori smorzati, questi riccioli biondi non si possono confondere.
Sono gli elementi tipici del Montalto.
Milano, non Venezia.

Prendo la prima immagine che trovo su internet, gli Angeli del coro di San Fedele a Milano:

Eccoli qui, i loro fratelli gemelli.

Con 4mila euri ti porti a casa le due tele, dato che sono una coppia.
Per me, un affarone.

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